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Fonte: Granai della Memoria / Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo – UniSG
Categorie
Archivi storici
Archivio:
Storie di vita
Autori:
Laura Papini, Luca Improta, Massimo Smuraglia, Elena Scarrone
Gina Biagini

Gina Biagini

Gina Biagini è nata a Vellano, frazione di Pescia, il 16 gennaio 1923. I suoi genitori erano contadini. Ha frequentato la scuola a Vellano, in una classe di 30/40 ragazzi.Gina racconta la sua infanzia: in paese molti erano contadini, ma numerose persone, anche donne, lavoravano in cartiera, per lo più alla Magnani, una cartiera molto importante. Gina ricorda un episodio di scontro con la maestra, accesa sostenitrice del fascismo. In inverno  nella scuola non c’era il riscaldamento e le mani dei bambini erano fredde. Per  richiamarla all’attenzione la maestra le dette delle bacchettate sulle mani infreddolite e lei prese il calamaio dal banco e glielo tirò dietro, “la macchiai tutta”. La maestra la mise fuori della porta in ginocchioni, lei cominciò ad urlare; allora  mandò a chiamare i genitori e la sospese per tre mesi. Ricorda poi che, finita la scuola elementare, la maestra andò a stare vicino a “dove si stava noi” e, a 12/13 anni, come molte bambine, andava in casa sua a fare le pulizie, a portare l’acqua. Fare le pulizie nelle case è stato il lavoro di Gina, ma non era pagato bene, “si guadagnava tre palanche”. Le sarebbe piaciuto studiare, ma “non c’era soldi per fa’ studiare i figlioli”   Da ragazzina avrebbe  voluto andare a lavorare insieme a due sue cognate: “La cartiera mi richiedeva, perché c’era anche la mi’ cognata, ma quando andavo a fare il foglio, mi diceva: - Te devi lavorare la terra con il tu’ babbo!- “ e “non mi ci hanno mai presa”.  I bambini avevano l’obbligo di andare a scuola la divisa, se non l’avevano “non ci ricevevano a scuola” e doveva essere pagata dai genitori, ma  i soldi erano pochi e comprarla al suo babbo “scomodava”.  Gina ricorda quanto era duro vivere sotto il fascismo e si sofferma sull’episodio della consegna delle fedi. Davanti alla chiesa di Vellano un uomo con un elmetto aspettava che le persone mettessero dentro la loro fede. Gina ritiene che fosse una richiesta ingiusta, ma le persone avevano paura e ci andavano come fecero i suoi genitori; ricevevano in cambio una fede di ferro.  Gina ricorda anche di aver visto purgare un uomo con l’olio di ricino, “di macchina”, aggiunge. “Ci insegnavano che bisognava obbedire, …che non si doveva mai dire male del duce…aveva fatto bene ai bambini…” In famiglia tutti avevano paura dei tedeschi: verso la fine della guerra bruciavano le case, non si preoccupavano se dentro qualcuno non poteva mettersi in salvo. Gina racconta di quando i tedeschi “entrarono in casa” dove suo fratello si era “rimpiattato”  per non andare in guerra e, quando i tedeschi entrarono e videro un giubbotto ed il “cappotto del mi’ babbo”,  chiesero di chi erano e tutti ebbero paura.  Il sogno di Gina: “Ehi! Pensavo di trova’ un signore, per non lavora’ più”. Poi parla con un misto fra rammarico, rabbia ed ironia che “ i contadini li tenevano a distanza”.Alcune sue amiche erano andate al “servizio” in altre città, a Montecatini o Firenze e la sera non tornavano a casa, come poteva fare lei, che  andava “al servizio” a Pescia; per una ragazza  era sempre molto difficile  “quando andavi fuori di casa, in un’altra città, andavi…non eri una donna a posto!”.

Pescia (PT), IT Regiontoscana
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