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UniSG - Archivio Musei Etnografici Italiani

UniSG - Archivio Musei Etnografici Italiani (1.621 schede)

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Il Ministero, alcuni lustri or sono, ha costituito una Commissione che ha realizzato un censimento dei contenitori di oggetti della nazione. L’esito è una solida ricerca che dà conto dei musei etnografici organizzati secondo alcune importanti variabili identificative collocate nelle singole regioni.

L’Università di Pollenzo ha perseguito tale lavoro, continuando a monitorare il sorgere e il morire di questa azione culturale negli anni, a partire dalle ricerche condotte da Gian Luigi Bravo sul finire degli anni Settanta in Piemonte.

Se allora i musei etnografici erano appena ventotto e appartenevano soprattutto ad uno specifico areale, quello del Piemonte meridionale, d’impronta fortemente tematica, riguardante il mondo vitivinicolo, al trascorrere del millennio erano già oltre duecento, differenziando ampiamente l’offerta culturale, anzi caratterizzandosi per essere contenitori generalisti e lo specchio di areali, di comunità narrate nella loro ampiezza oggettuale. I lustri che seguono modificano, in parte, questa caratteristica strutturale.

Oggi i musei etnografici sono punti di aggregazione e di resistenza sopravvivenziale, tanto da sostituirsi alla stessa Chiesa che gestisce i territori marginali a macchia di leopardo, arretrando sempre di più verso i luoghi più densamente popolati.

Lo stesso Stato che presidiava il territorio attraverso le reti sanitarie, le poste, le stesse municipalità, si arrende là dove non sembra esaurirsi la spinta di resistenza del museo etnografico locale come presidio di cultura, d’identità, di territorio che non vuole morire.

In ultima analisi, anche se il quadro nazionale non è aggiornato, la traiettoria che i dati ci forniscono permette di definire un profilo oggettivo cogente a quello succitato. Inoltre il lavoro diventa una buona base teorica e metodologica per verificare come una banca dati nazionale dialoghi con altri archivi meno equamente diffusi e definiti, soprattutto dialoghi con quei luoghi della memoria, per usare un’opportuna definizione di Saramago, dove “in un silenzio che permette di sentire il cigolio discreto di una vecchia tavola di legno del pavimento (altro destino della tavola), qualora si trovi in un piccolo museo di provincia, di quelli dove i custodi ci guardano sorpresi e grati”.

Oggetti partecipi di sentimenti che sembrano solo riservati all’umano, ma che sono parte di una letteratura etnografica che ricerca nell’oggetto una sorta di animismo, così come ci racconta Tonino Guerra quando parla della solitudine di una panchina russa (autobiografia in www.granaidella-memoria.it) e ci dimostra Orhan Pamuk nel romanzo “Il museo dell’innocenza” che è diventato successivamente un vero museo in cui gli oggetti esposti sono il ricordo vivo, tangibile, di un grande amore.