Feste popolari
Cantar le uova
I giovani monesigliesi, nel periodo invernale, praticavano il rituale del ‘canté j’euv’ (cantar le uova), dettagliatamente descritto da Augusto Monti nel romanzo ‘I Sanssôssí”:
"D'inverno cantar le ova, d'estate sfide al pallone o gare di ‘tela’ e in mezzo, Carnevale: la vicenda era quella.
Dicembre, gennaio. Notte alta di neve, di gelo. Chi va per quei rompicolli, ridendo e vociando così? Un clarino fa sentire tre note. una gola si raschia. Cantano:
Den der j'oeuve, den der j'oeuve
der voster galinne
ch'y n'an dicc i vocc avsìn
ch'y ney der corbe pinne
C'è una casa lì nel buoio, dormente. Ma quel canto - pare - l'ha svegliata. Una finestra di fatto al piano sopra un pocolino s'è illuminata. Dall'aia la canzone continuando ripete garbata la richiesta: dall'aia lusinghe a volo, raccomandate alla nenia del violino, son lanciate su:
'N te sta casa gentil casa
à j'é na bela fia,
a j'oma un giovenin con noi
ch'ò s'la portreiva via.
La casa, gentil casa, si commuove, pare. La finestra sopra s'è spenta un momento, ma ricompare il lume all'impannata a terreno: s'apre una porta: una figura vi compare: una voce burlescamente irata si fa sentire: - Vi venga un po' di bene! Codeste son ore? Nessun parente più prossimo? - Irruzione in quella cucina. Vociare. - Chiudete: chiudete fuori il freddo - . Canti e musica ammorzati dietro la porta rinserrata:
'N te sta casa gentil casa
o y regna l'abondanza
pi y na dèi pi y n'argale
e pi la roba ay vanza
Sull'aia della casa di nuovo si riserva il trepestio il vocio dei ringraziamenti e dei saluti. Chiavistello. Lume di sotto. Lume di sopra. la finestra spenta. la casa, gentil casa, adesso vuol di nuovo dormire. Dorme. Non prima però che da lungi una voce calda abbia inviato - clarino violino in sordina - tra la neve l'ultimo saluto:
Sonna sonna violin
sonna 'n sla corda finna
salutoma sor Giacolin
e la bela Catlinna.” (Monti 1963=1993, pp. 192-193).