Feste popolari
Carnevale
Il tradizionale carnevale di Monesiglio, caratterizzato da maschere contadine e dall’uomo che torna animale, è descritto da Augusto Monti, nel romanzo ‘I Sanssôssí’, attraverso i ricordi del padre: "Metà dell'anno ad aspettare e preparare il Carnevale che viene, l'altra metà a rimpiangere e rievocare il Carnevale passato.
Gli movevano incontro la sera di sabato grasso fino alla contrada dei Colombi, all'osteria del Bulo, e cantavano:
Vieni vieni o Carnevale
E' già un anno che t'aspetto
E il carnevale veniva: sbucava dall'antro fumoso del Bulo in figura di quel bambolone levato alto sul parapiglia, benedetto e applaudito: e scendeva in trionfo al borgo: e il suo arrivo colà segnava lo scatenarsi della pazzia generale. Banchetti, balli, canti, tripudi. Mascherate a gruppi, mascherate solitarie. Il cavadenti, il marchese, il Torototela. Gli agrimensori, gli agenti del fisco, i récruterus. Satire, caricature, beffe: gara a chi inventasse le più nuove, gara a chi meglio le traducesse in atto. Imbattuti sempre - si capisce - nella gara, i fratelli Monti, gli inesauribili fratelli di Papà. E il moto sulla fine sempre più veloce. Il martedì grasso dopo il mezzodì tutto il paese in succhio a godersi l'ultime ore beate. A mezzanotte le esequie di Carnevale: dond'era venuto di là se n'andava il bambolone, disteso sul cataletto, portato in sepoltura fra le litanie maccheroniche: e il prevosto chiuso in canonica, nero come un cappello. E all'avemaria poi del mattino, quando le donne s'avviavano in chiesa per le Ceneri, da quell'osteria dove l'ultimo manipolo s'era barricato, duro a morire, veniva ancora la canzone: la canzone petulante e provocante dei paganessuno:
Ora che abbiamo mangià e bevù
cara l'ostessa, grattatevi il cù
Grattatevi il cù con tutte e due le man
che paseremo a pagar doman."
[…] Fu l'anno che lo Scarpone, il ciabattino di piazza, s'intrise di pece e, sventrato quel bel piumino grande - la moglie che strilli! - ci s'avvoltolò nelle piume e trasformato in struzzo corse tre dì pel paese in subbuglio e fu raccattato alla fine fradicio di vino e ormai spennacchiato, che piangeva come un vitello, sconsolato di dover tornare uomo, una così bella vita fare l'uccello, glo, glo, glo, glo. E fu l'anno che il sartore, vestito da Torototela, invece di giga s'era messo al collo una cassetta, e nella cassetta un gatto vivo, chiuso dentro e con la coda fuori; egli intonava strambotti e al ritornello dava uno strappo alla coda: il gatto miagolava inferocito: e così c'era canto e musica d'accompagnamento.
Fu l'anno ancora che le esequie di Carnevale invece che alla contrada dei Colombi gli scapestrati le vollero eseguire in paese, e che la processione girò tre volte intorno alla canonica, empia e matta, cataletto col morto, Luis dei Monti mascherato da gesuita, tutta la brigata dietro cantando le litanie maccheroniche, mezzo il paese in coda facendo coro ubriacato, che la cosa passò davvero ogni convenienza e misura.
E quando avevano poi la coscienza caricata così, e c'era quindi bisogno per gli ariani di fare un bucato un poco in regola, per isgravarsi e ripulirsi avevano ancora sempre in quel di Monesiglio una via: a Pruneto, da don Spagarino. Indulgenza plenaria". (Monti, 1963=1993, pp. 195-197).