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La città dell'utopia - Campomaggiore Vecchio
La città dell'utopia nasce geograficamente all'interno dell'abitato oggi denominato Campomaggiore Vecchio ed attualmente fa riferimento all'intero territorio comunale, essendo, il nuovo centro ricostruito a circa 4 km dall'insediamento originario. Il bene immateriale è indissolubilmente connesso allo spazio fisico dei ruderi di Campomaggiore Vecchio, essendo connaturato alla sua nascita ed alla sua evoluzione economica, storica ed architettonica. Si tratta dunque di uno spazio fisico contenente ruderi, strade, piazze, vegetazione e quant'altro puo' esserci in un borgo abbandonato a partire dal 1885. Da diversi lustri i ruderi sono oggetto di valorizzazione, attraverso l'azione congiunta del pubblico e del privato. Essendo il tema un unicum, riferito ad una precisa vicenda storica verificatasi in un determinato spazio, difficilmente si trova replicata altrove.
Il tema della città dell'utopia e del borgo di Campomaggiore Vecchio ha sollecitato l'attenzione di studiosi soprattutto a partire dai primi anni'80 del secolo scorso. Essendo il vecchio borgo una "città di fondazione" e nascendo il concetto di utopia sociale insieme ad esso, evidentemente esso è radicato in maniera forte nella storia e nella tradizione culturale della comunità. Rispetto ad un popolo che nasce dalla mescolanza di genti autoctone, pugliesi e campane, richiamate dalla prospettiva di un vivere comune prospero e felice, il concetto della "città dell'utopia" è cio' che costituisce il collante identitario. Oggi, vieppiù, nella fase storica di una globalizzazione talvolta selvaggia, questo valore va conservato e riproposto alle giovani generazioni che spesso ne ignorano persino l'esistenza.
A Campomaggiore "Vecchio", a partire dal 1741, si realizza un esperimento sociale che porta alla costruzione ed al consolidamento di una comunità, sulla base dei principi del socialismo utopistico propugnati dal filosofo francese Charles Fourier e dall'inglese Robert Owen. I conti Rendina, signori di origine campana, che avevano acquistato il feudo di Campomaggiore pressoché disabitato nel 1673, al fine di popolarlo, emettono, nel 1741, una sorta di "bando pubblico" con il quale promettono, a chiunque giunga a Campomaggiore, la concessione gratuita di due tomoli di terra e la possibilità di tagliare legna, nei boschi di proprietà, al fine di realizzare le travi per costruire le nuove abitazioni. In cambio chiedono manodopera salariata per la coltivazione delle terre. Questo "patto sociale", insieme ad un'altra serie di agevolazioni, fa in modo che molta gente "in cerca di fortuna e progresso" arrivi nel paese, specie dalla Puglia, dalla zona di Bitonto, e dalla Campania. Nasce una piccola comune, con l'introduzione di nuove colture, l'ulivo in particolare, con lo sviluppo di una zootecnia comune, l'introduzione di servizi all'avanguardia per l'epoca (un lavatoio pubblico, uno dei primi cimiteri comunali della regione, un mulino etc.).
Questa mescolanza di popoli viene organizzata in modo originale anche dal punto di vista urbanistico. Teodoro Rendina, uno degli esponenti di spicco della famiglia, commissiona all'architetto Giovanni Pattturelli, allievo di Luigi Vanvitelli, la progettazione della pianta urbanistica del paese che sta nascendo. Il risultato è una "scacchiera", ovvero un tessuto urbano in cui regna l'ordine e l'uguaglianza, con strade che si incrociano ortogonalmente e dove le abitazioni sono tutte delle stesse dimensioni. Al centro regna la grande piazza con il palazzo baronale e la chiesa, posti uno di fronte all'altra. Dagli 80 abitanti del 1741, Campomaggiore arriva a contare 1525 abitanti nell'anno della frana. Una crescita di venti volte in circa 140 anni di storia.
Evidentemente, molte persone guardarono a quel luogo come un ambito del possibile, uno spazio fecondo e pieno di opportunità, quasi una "nuova frontiera".
L'intuizione dei feudatari Rendina, che concedono ai contadini un pezzo di terra da poter coltivare e su cui poter costruire una casa, in cambio del proprio lavoro manuale nei campi, rappresenta un geniale "espediente" per liberare energie, per inserire i contadini all'interno di un progetto di crescita collettiva, sollecitandone il protagonismo. E' il preludio all'affermazione diffusa della proprietà privata. E' forse il primo germe della nascita in loco di una borghesia, è certamente uno stimolo all'affermazione del "self-made man".
Nel corso degli ultimi anni questa vicenda ha fatto parlare di Campomaggiore come della "Città dell'utopia sociale".
La storia di Campomaggiore Vecchio e degli ideali alla base della fondazione del borgo è stata oggetto di trasmissione orale fra le generazioni. Si è trattato di un passaggio di padre in figlio anche se bisogna considerare che l'evento traumatico della frana, che ha costretto all'abbandono del vecchio sito ed alla costruzione del nuovo, ha causato la perdita di una grande percentuale di popolazione che, dopo aver perso tutto, è emigrata all'estero. Negli ultimi 30 anni sono state promosse una serie di azioni per tutelarne la memoria. Nel 1985, in concomitanza con il centenario del dissesto idrogeologico, vengono realizzate una serie di manifestazioni e convegni che ravvivano l'identità della comunità e ne indagano gli aspetti fondativi. In questo percorso vengono coinvolte anche le scuole e gli studenti, al fine di trasferire anche alle ultime generazioni il senso dell'appartenenza a quella storia. Poi si è operato prevalentemente per la conservazione di una parte dei ruderi che rischiava di scomparire. Nel 2007 vi è stata l'ideazione di un logo che caratterizzasse l'idea di Campomaggiore come "Città dell'Utopia", da utilizzare in tutta la comunicazione istituzionale dell'ente ed in quella di promozione del territorio. Dal 2010 si è proceduto alla messa in sicurezza del palazzo baronale e, si è realizzato il "MUSEO DELL'UTOPIA" nel centro abitato e dedicato alla storia di Campomaggiore, si è realizzato un primo lotto funzionale del "giardino dell'Utopia"con la messa in sicurezza dei relativi ruderi. Dal 2010 fino all'estate 2017, si è svolto lo spettacolo "La città dell'utopia", che ripercorre in chiave fiabesca gli avvenimenti che si vissero in quel luogo. E' certamente questo il momento culminante del percorso di recupero del bene immateriale. Attraverso questo evento in grado di attrarre turisti da fuori regione, in maniera plastica ed impattante, si trasmette ad un pubblico vecchio e nuovo il messaggio di quella esperienza.