Feste popolari
Pellegrinaggio al santuario di San Valeriano
La popolazione del territorio compreso tra la val Noce, Piscina, Cumiana, e Giaveno fino agli anni Settanta il lunedì santo, si recava in pellegrinaggio al santuario di San Valeriano, nei pressi della frazione Tavernette.
”Come per altri pellegrinaggi, esso era effettuato soprattutto a piedi, a volte lungo sentieri diversamente poco utilizzati. Ad esempio, i fedeli della zona di Giaveno, percorrevano nel tratto iniziale la strada vecchia che saliva alla volta della Colletta di Cumiana, quelli di Cantalupa, da san Giusto, luogo di ritrovo, raggiungevano di solito la cappella di san Sisto, a monte di Baldissero, per poi scendere fino alla meta, mentre quelli di Frossasco s'incamminavano lungo Baissa Granda, la fontana del Gerbido e ‘'l ciabot del Beru’ “ (Priolo 2000).
Alla nutrita partecipazione al pellegrinaggio contribuiva anche il “fatto che, dopo le funzioni religiose, il tutto si trasformava in un'allegra scampagnata (aspetto che nel tempo sembrò quasi prevalere sulla dimensione religiosa), e che spesso per i ‘più grandi’ si concludeva con quattro balli sul ‘palchetto’ a Tavernette, approfittando della festa locale” (Priolo 2000).
Durante la festa “di fronte al santuario venivano in genere allestiti dei banchi di articoli religiosi, di dolciumi e di attrezzi da lavoro, ma gli acquisti caratteristici di questa festa erano però ‘l'ujon’ ed ‘ 'l poum d'la coumposta’. Il primo (acquistabile anche alla festa di S. Isidoro) era un lungo bastone reciso nell'anno, e quindi pelato e colorato a strisce (il colore era casuale) da uno dei rettori (i retor), di solito degli abitanti della zona che si impegnavano nell'allestimento delle festa in onore del santo.
Dopo la processione della statua di San Valeriano all'esterno della chiesa, l'ujon veniva portato dentro per la benedizione, e quindi, una volta a casa, veniva di solito collocato o nella greppia o utilizzato come pungolo (ujoun nella parlata locale), secondo una credenza religioso-taumaturgica legata al concetto del tocco che guarisce” (Priolo 2000).
