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Fonte: ICCD - Progetto PACI / MiC – Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione ICCD
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Saperi e tecniche

Lavorazione del pane carasau: cottura

Dopo aver aperto la prima piega del panno, detto sa tela, con il quale vengono coperte a strati le sfoglie di pasta, una donna con una pala in legno, sa pala de forru, introduce la prima sfoglia di pasta cruda nel forno riscaldato a fiamma viva (kokere a fogu crispu). Poi ripete la stessa operazione per introdurre altre sfoglie. La pasta, per effetto del calore elevato, si gonfia rapidamente, come un otre, e subito viene sfornata, ancora fumante, con una pala di ferro sa palitta. La sfoglia semi cotta, ripiena d'aria, si depone su un tagliere in legno tenuto dalle aiutanti, arressadoras. Il loro compito è quello arrestare il processo di cottura del pane, proprio come dice il termine sardo. Le donne battono con le mani la calotta di pasta ancora calda, per una prima pulitura dalla cenere. Quindi, munite di coltello pungono la superficie di pasta, per eliminarne l'aria residua; poi con una spazzola ripuliscono meglio entrambe le facce. Sempre con il coltello separano le due facce venutesi a formare nella prima cottura, lungo la circonferenza della sfoglia, fresare, ottenendo due distinte sfoglie sottili: pídzos. Le sfoglie così prodotte vengono accatastate e sovrapposte in pile circolari, dette píras, pronte per la carasadura: la seconda infornata che da il nome e caratterizza questo tipo di pane. L’etimologia del termine carasau deriva da carasare, cioè tostare. Rappresenta il momento in cui il pane viene rimesso nel forno per la seconda cottura finale che lo rende croccante. Una volta sfornato deve essere nuovamente impilato e pressato, per favorire una corretta disposizione, che eviterà sbriciolamenti durante le successive fasi di conservazione. Grazie alle sue caratteristiche fisiche, questo pane veniva utilizzato dai pastori durante i lunghi mesi di transumanza.